Nuovi pasticciacci brutti nel bel paese


Antonio Fresa: Delitti esemplari nel bel paese - L’erudita edizioni, 2016.


Delitti esemplari nel Bel Paese è la prima raccolta di racconti di Antonio Fresa, docente di Storia e Filosofia, presidente della sezione narnese dell’Università della Terza età, genius loci, animatore entusiasta e prolifico di varie associazioni culturali, spirito curioso e “multitasking”. 


L’autore è quindi una personalità poliedrica, che da sempre ama i libri, grande lettore e divulgatore delle belle lettere tra i giovani ed i meno giovani.    Fresa vive - culturalmente - a cavallo tra le colline umbre (dove risiede da anni) e gli scogli di Marechiaro della sua amata Napoli, città natale che vive radicata anche nel suo ineguagliabile accento, che ancora lo accompagna, malgrado l’esilio pluriennale nelle nostre terre… 

Lo spunto per  iniziare questa avventura letteraria nasce - come dichiarato dallo stesso Fresa, che considera  il suo libro un “omaggio” allo scrittore spagnolo  - dalla rilettura di quel Max Aub, che oltre trenta anni fa’ pubblicò  una raccolta di racconti surreali, in cui la quotidianità dei personaggi scivola improvvisamente verso una “twilight zone” (per citare anche una celebre serie tv del passato che trattava casi simili..), una zona di confine tra la percezione corretta della propria realtà e la psicosi, un’area spesso superata con un balzo improvviso, dopo un “clic”, un rumore, uno  sguardo, verso quelle azioni che possono  aprirci la porta verso l’ ignoto.





La normalità dei delitti descritti dalle diverse voci narranti di Fresa è inquietante: il crimine sembra la soluzione più semplice per una serie di problemi relazionali; i personaggi (criminali per caso) non riflettono, agiscono conseguentemente ai loro impulsi, “di pancia” - come si direbbe oggi - più che con la testa.  

La reazione ad uno sguardo, una parola di troppo, un affronto, una semplice mossa inattesa, una spinta, ogni piccola avversità quotidiana si trasforma all’improvviso in un ostacolo insormontabile, ed allora la miglior soluzione - anzi, l’unica - sembra il delitto, l’eliminazione fisica dell’ostacolo che ci impedisce di continuare a vivere la nostra vita tranquilla.

Le armi non sono necessariamente letali: persino un’auto, un paletto, un balcone troppo basso o una finestra aperta possono diventare strumento mortale della vendetta.  In sostanza  la stessa quotidianità con i suoi riti, le lentezze, le attese ed i compromessi è un campo minato, dove i personaggi si muovono con attenzione, sempre in attesa dello scarto, della deviazione che li porterà verso il crimine.

L’abisso della follia attende dietro ogni angolo, e sebbene nulla lasci prevedere uno sviluppo del genere nella trama, è come se un alito di vento spiri costantemente da quella profondità, ed i nostri sensi restano costantemente tesi verso quell’inevitabile “twist of fate”, quello scarto del destino.  

Mentre leggiamo le storie che si alternano velocemente, chiare come il riflesso di un coltello, ed altrettanto pericolose, viene in mente la massima di Nietzsche “…se tu scruti a lungo in un abisso, l’abisso prima  o poi guarderà dentro di te..”, ed allora ci rendiamo conto che quei personaggi, e le loro  azioni riprovevoli non sono altro che la proiezione dei nostri pensieri, di quelli coperti dal tabù, proibiti perché contrari all’etica ed alla coscienza comune, che però esistono, ci accompagnano nelle nostre giornate, spesso ricacciati indietro dall’Io mentre l’Es li spinge in superficie.

La  prosa di Fresa è dissonante, “verfremdet” si direbbe nella lingua di Freud; è limpida e corretta, adatta alla descrizione di una normalità iper-realistica, eppure quel linguaggio, quelle parole sono destinate ad infrangersi contro l’assurdo di un finale in-atteso, verso una catarsi blasfema, che ricorda il realismo isterico di Kafka, per cui la narrazione  all’inizio segue una strada ben delineata, per poi sfuggire al percorso e deviare verso l’impossibile.

L’io narrante - che in qualche caso diventa memoria epistolare, o lettera aperta, una confessione quasi Dostoyevskyana - contribuisce a rendere l’atmosfera frammentaria, parziale, togliendo il fiato al quadro totale, che continua a sfuggirci, lasciandoci soli a colloquiare con quei personaggi che hanno avuto il coraggio di affondare la lama nelle offese eliminandole completamente, e così facendo rispondendo positivamente  al celebre dubbio Amletico: “se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna, o prendere le armi contro un mare di affanni, e contrastandoli, porre loro fine…”

Il Bel Paese che traspare dalle storie di Fresa ha ben poco di bello, a voler leggere tra le righe, eppure ci appartiene, dolorosamente, mentre i suoi abitanti, quelli che uccidono e quelli che vengono uccisi, siamo noi,  sono i nostri vicini, le persone incontrate per caso in fila al supermercato, quelle che ci affiancano in strada, chiuse nelle loro auto, e questa  cosa non ci tranquillizza affatto.


Fabio ronci 

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