Ich bin ein Berliner (2)
Visto che qui al paese natio ultimamente non mi trovo benissimo (in prospettiva almeno..) continuo a riflettere un po' sul viaggio berlinese, tra parole ed immagini.
Il secondo capitolo di questa mini-storia lo dedico al Muro.
Confesso che con il muro ho un lungo rapporto alle spalle, una storia iniziata tanti anni fa' quando scelsi di svolgere la mia tesi di laurea in germanistica proprio trattando questo tema e le sue ripercussioni nella storia letterararia delle 2 Germanie..
Un conto aperto col passato insomma, un "leit motiv" che ho spesso analizzato da diversi punti di vista, e che mi sorprende alle spalle ogni volta che torno a Berlino.
Anni fa' ebbi il piacere di parlare con Peter Schneider, autore di un libro (Il saltatore del muro) che raccoglie molte storie sviluppatesi attorno alla divisione tedesca. Ad una mia domanda circa la percezione del muro negli anni '80 a Berlino, lui usò - come poi spesso ha fatto nel futuro - il termine "Die Mauer im Kopf", ovvero il muro in testa, per indicare quello che sembrava uno stato di fatto all'epoca. Una divisione irreversibile tra due modi di essere e pensare, che sarebbe sopravvissuta anche dopo l'abbattimento dell'ultimo tratto del muro..
La storia (vedi divisioni tra Ossis e Wessis) gli ha dato ragione, ma forse solo in parte: oggi la divisione sembra ricucita, sebbene alcune differenze (ed una certa nostalgia per la DDR oggi addirittura oggetto di marketing turistico) rimangono in piedi.
La divisione fisica, trentennale, della città oggi non è più visibile, o meglio, non immediatamente: gli spazi sono stati riempiti, nuove piazze sono state progettate sul deserto di quella che era considerata "terra di nesuno", una striscia di terra compresa tra le due parti del muro, e tra queste Potsdamer Platz è sicuramente il "cerotto" più evidente.
Eppure il muro c'è, spunta improvvissamente da dietro un angolo, magari viene usato come elemento decorativo in una piazza, oppure musealizzato, chiuso nel percorso del "Museum am Checkpoint Charlie", mostrato ed evocato in alcune forme d'arte.
La fascia più consistente è rimasta in piedi presso Kreuzberg, in bella vista dall'Oberbaum Bruecke, si scorge subito mentre si viaggia nella S-Bahn, il treno di superficie che attraversa diagonalmente la città (anch'esso diviso in due sistemi durante gli anni del muro..).
I berlinesi (popolo schiettamente umoristico) hanno ribattezzato il tratto East Side Gallery, quasi a richiamare le gallerie d'arte di New York, in un esorcismo della storia crudele, esaltandone la funzione artistica.
La tavolozza di colori più grande del mondo, secondo alcuni, il prodotto dell'azione semi clandestina di tanti artisti (tra cui Keith Haring) che vollero colorare la cortina di ferro, per altri.
La lunga passeggiata lungo questa galleria all'aria aperta è ancora oggi - a distanza di anni dalla caduta del muro stesso - un'esperienza che quasi da sola vale il viaggio.
Il secondo capitolo di questa mini-storia lo dedico al Muro.
Confesso che con il muro ho un lungo rapporto alle spalle, una storia iniziata tanti anni fa' quando scelsi di svolgere la mia tesi di laurea in germanistica proprio trattando questo tema e le sue ripercussioni nella storia letterararia delle 2 Germanie..
Un conto aperto col passato insomma, un "leit motiv" che ho spesso analizzato da diversi punti di vista, e che mi sorprende alle spalle ogni volta che torno a Berlino.
Anni fa' ebbi il piacere di parlare con Peter Schneider, autore di un libro (Il saltatore del muro) che raccoglie molte storie sviluppatesi attorno alla divisione tedesca. Ad una mia domanda circa la percezione del muro negli anni '80 a Berlino, lui usò - come poi spesso ha fatto nel futuro - il termine "Die Mauer im Kopf", ovvero il muro in testa, per indicare quello che sembrava uno stato di fatto all'epoca. Una divisione irreversibile tra due modi di essere e pensare, che sarebbe sopravvissuta anche dopo l'abbattimento dell'ultimo tratto del muro..
La storia (vedi divisioni tra Ossis e Wessis) gli ha dato ragione, ma forse solo in parte: oggi la divisione sembra ricucita, sebbene alcune differenze (ed una certa nostalgia per la DDR oggi addirittura oggetto di marketing turistico) rimangono in piedi.
La divisione fisica, trentennale, della città oggi non è più visibile, o meglio, non immediatamente: gli spazi sono stati riempiti, nuove piazze sono state progettate sul deserto di quella che era considerata "terra di nesuno", una striscia di terra compresa tra le due parti del muro, e tra queste Potsdamer Platz è sicuramente il "cerotto" più evidente.
Eppure il muro c'è, spunta improvvissamente da dietro un angolo, magari viene usato come elemento decorativo in una piazza, oppure musealizzato, chiuso nel percorso del "Museum am Checkpoint Charlie", mostrato ed evocato in alcune forme d'arte.
La fascia più consistente è rimasta in piedi presso Kreuzberg, in bella vista dall'Oberbaum Bruecke, si scorge subito mentre si viaggia nella S-Bahn, il treno di superficie che attraversa diagonalmente la città (anch'esso diviso in due sistemi durante gli anni del muro..).
I berlinesi (popolo schiettamente umoristico) hanno ribattezzato il tratto East Side Gallery, quasi a richiamare le gallerie d'arte di New York, in un esorcismo della storia crudele, esaltandone la funzione artistica.
La tavolozza di colori più grande del mondo, secondo alcuni, il prodotto dell'azione semi clandestina di tanti artisti (tra cui Keith Haring) che vollero colorare la cortina di ferro, per altri.
La lunga passeggiata lungo questa galleria all'aria aperta è ancora oggi - a distanza di anni dalla caduta del muro stesso - un'esperienza che quasi da sola vale il viaggio.
Commenti
Grazie! Busserl bis bald!
;-))
coccola i miciotti anche x me,mi raccomando! ;)
Un abbraccio turistico!!!!
@moky: thanks darling, appena messo un po' in ordine la testa e la casa farò il tuo meme!
;)
l'avevo troppo sottovalutata la Germania ..in primis Berlino stessa!
A presto signore F.