Because tramps like us, baby we were born to run....
Jack
Keroauc: Sulla Strada
Leggere (o
rileggere) “On the Road” di Jack Keroauc, oggi, è ancora un’esperienza totalizzante, anche a distanza
di anni, anche dopo aver digerito, idolatrato, analizzato o persino ripudiato
quel periodo affascinante della cultura post bellica che chiamiamo Beat
Generation.
Il viaggio
di Sal Paradise attraverso il continente nordamericano resta la pietra angolare
del movimento Beatnik, ed accanto alla poesia L’Urlo (Howl) dell’amico Allen Ginsberg Sulla Strada rappresenta
una vera svolta epocale all’interno della cultura di massa tra gli anni 50 e
60.
L’anno 1951
segna un punto di non ritorno per la
letteratura statunitense, e di conseguenza per quella mondiale (visto che gli
USA iniziano a dettare legge nel mondo non solo col piano Marshall, ma anche
con la musica, il cinema ed i libri...) : proprio in questo anno infatti
vengono pubblicati sia l’opera di Kerouac, che quella di J. D Salinger, The
catcher in the rye (Il giovane Holden) che assurgono immediatamente a
veri e propri manifesti letterari della rivoluzione giovanile in America,
mettendo in un angolo gli autori della cosiddetta Lost Generation (tra cui Hemingway, Fitzgerald, Dos Passos..) che
sembrano invecchiare rapidamente agli occhi della gioventù americana che sta
scoprendo il Jazz ed il Rock and Roll.
«Dobbiamo andare e non
fermarci finché non siamo arrivati»
«Dove andiamo?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare». »
«Dove andiamo?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare». »
La frenesia
del viaggio, la voglia di fuggire dalla quotidianità, il senso della scoperta
di spazi e persone nuove, la ribellione vista come spostamento, come rifiuto
della staticità “borghese” di una middle class che sta crescendo sull’onda del
primo Boom economico d’America, tutto si può leggere nel racconto di Sal
Paradise, voce narrante di questo rinnovato romanzo picaresco del XX secolo.
Le pagine
scorrono tra continui passaggi in autostop e lunghe attese solitarie fuori
delle stazioni delle corriere, tra notti passate al freddo del deserto e giorni
roventi sulle strade verso quell’Eden della Beat generation che era San
Francisco, e la west coast in generale.
Il rapporto
di amore-odio tra Sal e Dan Moriarty è il substrato del romanzo, una
sublimazione del rapporto reale tra Kerouac e Neal Cassady, così come dietro la
corte di sognatori, sfaccendati, poeti e stravaganti personaggi che si muovono
all’unisono con Sal, a volte precedendolo, altre seguendolo nel suo itinerario
verso il West, si cela il nucleo originale della Beat generation con Allen Ginsberg (nel romanzo Carlo Marx !),
Hal Chase, William Boroughs ecc…
Il romanzo
si divide in cinque parti, ognuna delle
quali ci narra un viaggio: il primo risale al 1947, il quinto al 1950. Il primo
capitolo è sicuramente il più avventuroso e consistente, quello in cui le
descrizioni paesaggistiche e sentimentali sono più incisive, un vero spaccato
dell’esperienza della ricerca della Frontiera, in cui è possibile ritrovare
l’eco di Steinbeck e dei suoi disperati in viaggio verso la speranza di una
vita migliore in California.
Anche il
linguaggio – facendo le debite proporzioni – a tratti ricorda la lingua
spezzata e corrosa dei protagonisti di Furore,
ma in questo caso sembra volersi fare lessico essenziale per la nascente Beat generation, un inglese studiato “a
tavolino” quindi, cosciente dell’impatto sulla cultura del suo tempo, non una
semplice registrazione di vocaboli e
registri linguistici reali.
Anche in
questa scelta stilistica Kerouac è più vicino a Salinger che non a Steinbeck:
la Beat generation (e conseguentemente questo libro) vuole rappresentarsi e presentarsi al
pubblico con un suo progetto, ed un suo manifesto, proprio come fecero i
Romantici inglesi della fine del 700.
Ogni viaggio
di Sal prevede anche un ritorno (più o meno accidentato del viaggio di andata…)
perché la sua voglia di viaggiare, di fuggire, di ricominciare altrove, naufraga ogni volta nella disillusione del
risveglio. Così Sal ritorna a New York e
riprende a frequentare l'università, a scrivere (sta per pubblicare il suo primo romanzo) ed a preoccuparsi dei suoi
problemi economici, finchè Dean non riappare in scena. E’ lui il motore primo del viaggio, di una Fernweh romantica che esplode ogni
qualvolta i due si incontrano, e così il tempo dell’immobilità Newyorkese cede
il passo ai chilometri, al deserto, alle avventure sulla strada.
« Passò più di un anno
prima che rivedessi Dean... Avevo passato un tranquillo Natale in campagna, me
ne resi conto quando rientrammo in casa e vidi l'albero, i regali, sentii il
profumo del tacchino che arrostiva e ascoltai i discorsi dei parenti. Ma ora mi
era tornata l'irrequietezza, un'irrequietezza di nome Dean Moriarty,
e io stavo per
lanciarmi in un'altra scorribanda sulla strada. »
Quando
Kerouac scrive il libro ha 29 anni, e secondo la “vulgata” l’opera viene scritta quasi di getto, nel 1951, in sole
tre settimane, nella propria casa, a New York, usando degli appunti raccolti al tempo dei suoi viaggi. Curiosamente il libro venne dattiloscritto su
un intero rotolo di carta per telescrivente lungo 36 metri. Questo rotolo (di
cui abbiamo diverse immagini fotografiche) fu poi aggiudicato in asta nel 2001
per un oltre due milioni di dollari.
Rifiutato da
diverse case editrici, spesso a causa del linguaggio spesso ritenuto osceno
dalla censura maccartista, il romanzo
viene alla fine pubblicato dalla Viking
Press nel 1957, solo dopo però che Kerouac ebbe l’accortezza di cambiarne tutti
i nomi originali.
Il romanzo
di Kerouac nasce sulla scia di un mito tutto americano: quello della frontiera,
la tendenza a conquistare nuovi spazi, dapprima “orizzontali”, ovvero la
conquista del west, poi – dove la terra non permette più di viaggiare oltre – quelli “verticali”
costruendo grattacieli sempre più alti in spazi ristretti (come a New York).
La voglia di
muoversi caratterizza da sempre la
cultura USA, passando dai libri al cinema, ed il XX secolo è stato segnato
anche in termini di onirico collettivo
da molti esempi del genere, ed allora On the Road è l’anello di congiunzione
perfetto tra la ricerca della wilderness
che troviamo già nel Walden di
Thoreau, e le nuove frontiere ispano-americane descritte da Cormac Mc Carthy.
Ognuno nella
propria vita ha avuto un momento, un
periodo, o un’età, in cui questa “frenesia” del viaggio, della fuga è
comparsa all’improvviso, ogni ragazzo si trasforma in un Ulisse prima o poi, magari solo con la mente, ed allora un
libro come “Sulla Strada” appartiene ad ognuno di noi, perché tutti prima o poi ci immedesimiamo nelle parole di Bruce
Springsteen: “Because tramps like us,
baby we were born to run…”.
Fabio ronci
Commenti