C'è vita dopo l'acciaio
In questi giorni è uscito il primo libro - l'opera prima, come dicono gli esperti - di un mio caro amico, e sono molto felice per lui.
Eugenio Raspi è uno di quei ragazzi (lo siamo ancora tutti, anche oltre i 40 o no?) che conosci da una vita, uno con cui hai lavorato per la tua città, con il quale hai riso e discusso, uno con cui ti trovi bene anche se stai in silenzio per tanto tempo, un amico vero insomma.
Eugenio è intelligente, molto sensibile, con una curiosità intellettuale rara da trovare in giro, ed è per questo motivo che parliamo di storia medievale e di libri quando ci incontriamo, magari in edicola, o al bar, o durante i sempre più rari "strusci" in piazza, a Narni.
I nostri "backgorund" non potrebbero essere più diversi: dopo gli studi io ho fatto (o meglio, tento ancora di fare) dei libri e delle storie un lavoro, e mi sono buttato sull'insegnamento e sulle traduzioni, sperando di instillare un po' della mia curiosità intellettuale ai giovani d'oggi.
Lui invece ha lavorato sul serio (non come me, io sostanzialmente faccio finta di lavorare...) in fabbrica, e La (con la L maiuscola appunto) fabbrica per eccellenza nel nostro territorio è da sempre l'Acciaieria, la Terni, l'Ilva, la Thyssen Krupp, insomma una presenza ingombrante, polimorfa, dai tanti nomi e dalle tante sigle, tante quanti sono stati suoi padroni.
Eugenio è stato un operaio qualificato, uno a cui affideresti responsabilità fuori dall'ordinario, apprezzato da tutti; poi ha fatto carriera, si è evoluto in fabbrica, ed è cresciuto fino a ricoprire ruoli chiave, senza dimenticare le sue radici. Eppure forse, a questo punto, sarebbe meglio dire che lui era un operaio.
La crisi infatti fa chiudere le piccole ditte che lavorano in appalto nella fabbrica, ed anche lui, con tutte le sue competenze, viene cancellato con un tratto di penna.
Ma Eugenio non molla, si reinventa, passa dentro la crisi, la osserva, la descrive, da fuggiasco, con gli occhi ancora pieni di acciaio raffreddato, di colate roventi, di muletti ed operai, ma già rivolto verso l'esterno, verso una via d'uscita.
Inventa una storia, un plot, lo inserisce nella fabbrica, ne cura le dinamiche, descrive amicizie ed inimicizie, si concentra sui rapporti di potere (che sono in sostanza i rapporti umani tout-court..) tra operai e quadri, usa magistralmente il linguaggio tecnico e quello sentimentale, perché lui stesso è stato ingranaggio ed attore di quel mondo, ed alla fine sintetizza tutto in una storia, un libro.
Scrive un romanzo, lo chiama INOX, un nome che alle orecchie dei ternani riecheggia il celebre film ACCIAIO, del 1933, e che quindi suona familiare e consueto nella vita delle persone di queste parti.
La Baldini e Castoldi lo pubblica, Concita De Gregorio lo recensisce con cura per Repubblica, e lui va a Torino a presentarlo, durante la Fiera del libro, in quella città che - anche per tragici motivi - è legata a Terni nel nome della fabbrica.
"La fine è l'inizio" mai come per Eugenio Raspi questa massima è corretta. La vita di ieri è l'humus del futuro, le sue parole oggi potranno essere testimoni della storia che passa, dell'economia che si trasforma, di quegli uomini che continuano a non capire le dinamiche della vita, e le confondono con il business, portando esseri umani in una zona d'ombra come fossero semplici silhouettes ottocentesche di un teatro fittizio.
Grazie ad Eugenio la crisi ora ha una voce.
Eugenio Raspi è uno di quei ragazzi (lo siamo ancora tutti, anche oltre i 40 o no?) che conosci da una vita, uno con cui hai lavorato per la tua città, con il quale hai riso e discusso, uno con cui ti trovi bene anche se stai in silenzio per tanto tempo, un amico vero insomma.
Eugenio è intelligente, molto sensibile, con una curiosità intellettuale rara da trovare in giro, ed è per questo motivo che parliamo di storia medievale e di libri quando ci incontriamo, magari in edicola, o al bar, o durante i sempre più rari "strusci" in piazza, a Narni.
I nostri "backgorund" non potrebbero essere più diversi: dopo gli studi io ho fatto (o meglio, tento ancora di fare) dei libri e delle storie un lavoro, e mi sono buttato sull'insegnamento e sulle traduzioni, sperando di instillare un po' della mia curiosità intellettuale ai giovani d'oggi.
Lui invece ha lavorato sul serio (non come me, io sostanzialmente faccio finta di lavorare...) in fabbrica, e La (con la L maiuscola appunto) fabbrica per eccellenza nel nostro territorio è da sempre l'Acciaieria, la Terni, l'Ilva, la Thyssen Krupp, insomma una presenza ingombrante, polimorfa, dai tanti nomi e dalle tante sigle, tante quanti sono stati suoi padroni.
Eugenio è stato un operaio qualificato, uno a cui affideresti responsabilità fuori dall'ordinario, apprezzato da tutti; poi ha fatto carriera, si è evoluto in fabbrica, ed è cresciuto fino a ricoprire ruoli chiave, senza dimenticare le sue radici. Eppure forse, a questo punto, sarebbe meglio dire che lui era un operaio.
La crisi infatti fa chiudere le piccole ditte che lavorano in appalto nella fabbrica, ed anche lui, con tutte le sue competenze, viene cancellato con un tratto di penna.
Ma Eugenio non molla, si reinventa, passa dentro la crisi, la osserva, la descrive, da fuggiasco, con gli occhi ancora pieni di acciaio raffreddato, di colate roventi, di muletti ed operai, ma già rivolto verso l'esterno, verso una via d'uscita.
Inventa una storia, un plot, lo inserisce nella fabbrica, ne cura le dinamiche, descrive amicizie ed inimicizie, si concentra sui rapporti di potere (che sono in sostanza i rapporti umani tout-court..) tra operai e quadri, usa magistralmente il linguaggio tecnico e quello sentimentale, perché lui stesso è stato ingranaggio ed attore di quel mondo, ed alla fine sintetizza tutto in una storia, un libro.
Scrive un romanzo, lo chiama INOX, un nome che alle orecchie dei ternani riecheggia il celebre film ACCIAIO, del 1933, e che quindi suona familiare e consueto nella vita delle persone di queste parti.
La Baldini e Castoldi lo pubblica, Concita De Gregorio lo recensisce con cura per Repubblica, e lui va a Torino a presentarlo, durante la Fiera del libro, in quella città che - anche per tragici motivi - è legata a Terni nel nome della fabbrica.
"La fine è l'inizio" mai come per Eugenio Raspi questa massima è corretta. La vita di ieri è l'humus del futuro, le sue parole oggi potranno essere testimoni della storia che passa, dell'economia che si trasforma, di quegli uomini che continuano a non capire le dinamiche della vita, e le confondono con il business, portando esseri umani in una zona d'ombra come fossero semplici silhouettes ottocentesche di un teatro fittizio.
Grazie ad Eugenio la crisi ora ha una voce.
Commenti