Schegge di viaggio 1: viaggi musicali
Breve premessa metodologica
Un invisibile filo rosso lega indissolubilmente l’esperienza del viaggio (ciascun tipo di viaggio: dalla semplice gita turistica al pellegrinaggio religioso) alla memoria musicale di chi lo compie: la musica rappresenta un formidabile collante onirico delle varie sensazioni della vita, per cui ogni esperienza più o meno importante nel corso della propria esistenza viene magicamente vivificata dal suono, improvvisa epifania uditiva, che ci colpisce come un pugno allo stomaco, al pari dei profumi (altro strumento eccellente della “memoire involontaire”, per dirla alla Proust..), sensazioni intangibili che costellano il nostro percorso terreno.
Ogni fuga dalla quotidianità, ogni movimento verso l’esterno, reale o fantastico che sia (Falsche Bewegung quindi compresa), viene accompagnato da sensazioni musicali, ogni luogo si collega ad una immaginaria geografia melodica, una carta geografica costellata da note musicali, luoghi in cui le immagini naturali si alternano a sensazioni musicali, come in una sorta di documentario naturalistico.
Il suono, o meglio la musica, in questione non necessariamente corrisponde all’armonia delle sette note, la colonna sonora può essere a volte suonata dalla stessa natura: il vento che fischia dall’alto di una scogliera irlandese, fin quasi ad assordire, lo sferragliare del treno sui binari che culla il viaggiatore in modo quasi ipnotico, il rollio delle onde mentre il traghetto scivola lentamente verso le magiche isole Aran, persino il silenzio crepuscolare che ci accoglie su una spiaggia scozzese bianca come l’innocenza infantile, può rappresentare una melodia assordante. Queste e molte altre sensazioni “pseudo liriche” fanno da invisibile contrappunto ritmico all’esperienza del viaggio.
Chiunque, in sostanza, abbia viaggiato attraverso la propria terra, o altrove, verso sponde più lontane, avrà sperimentato queste sensazioni, e troverà forse interessante il seguente breve resoconto di alcune esperienze legate al personale vagabondaggio lirico di un inguaribile Rambler romantico, attraverso l’isola britannica e quella irlandese.
Sulle orme di Ulisse (e quelle di Orfeo).
Londra: notte a Piccadilly Circus, la fontana con l’Eros illuminato, fonte di musica inattesa per la presenza di una cornamusa nei pressi dell’acqua, ecco quindi la prima presenza scozzese in piena Londra, il primo approccio con la voce delle sirene, prolungamento del nord nella capitale.
Questa litania ipnotica si mescola con il rock artificiale del Rock Circus, dove statue di cera ci girano attorno ( o forse siamo noi i loro satelliti artificiali ) e ci parlano, cantando dal passato.
E’ il nostro circo, per ragazzi non ancora adulti, facili alle nostalgie della musica che si riallaccia agli anni passati in fretta, con i Beatles e Rod Stewart, con i Rolling Stones ed Elton John.
Tutto attorno alla piazza negozi dozzinali di T-shirts e poster del mito, specchietti per allodole per i turisti onnivori venuti dall’oriente.
La notte diventa improvvisamente spazio della memoria, e allora ci si muove tra le melodie beatlesiane e tra gli spazi dl tempo, come in un romanzo di fantascienza.
Irlanda
Dublino: Baile Atha Cliath o Dublino, città doppia, celtica e moderna, un po' inglese e molto “Irish”.
Dublino come grande metafora delle paralisi dell’ intera nazione, città immobile eppure agitata, terra di falsi movimenti, scenario da film a lungo noto, eppure nuovo di zecca.
Terra di Pubs e di musica folk, quella colonna sonora che ha nutrito lo spirito onnivoro del buon turista, e che ora ci segue, ci indirizza lungo le strade, musica accidentale, incontrata in qualche famoso Pub di Temple Bar.
La musica è onnipresente, al di qua ed oltre la Liffey ( nomi sempre letti tra le pagine dei libri e che ora appaiono invece reali, oppure no? Forse sono ancora il riflesso cartaceo del fiume, la sua evocazione letteraria), “Heritage” con cui fare i conti in ogni luogo ed ogni luogo ne porta irrimediabilmente i segni, sonori ed onirici.
Pogues, Chieftains, Dubliners ed ancora più in là: Clannad, Van Morrison, Elvis Costello e chissà chi altro.
Musica dunque, invariabile costante del viaggio, a piedi ed in macchina, nei Pubs e per strada, ancestrale rivive a Dublino la voce delle sirene, ed Ulisse non può che seguirle, ascoltarle e spesso perdersi tra cornamuse e violini, non più Itaca, non ancora il mare ma il fiume, presenza femminile in una città donna.
Epifanie successive, ad ogni fortuito incontro con qualche vecchio musicista da bar, presente ed assente, come nel Sir Arthur Conan Doyle .
Carrickfergus: la silhouette del castello a picco sul mare si scorge da lontano, lungo la strada costeggiata da piccole case di pietra grigia, e l’autoradio non può fare a meno di rimbalzarci le note e la voce di Van Morrison che canta la magia di un amore nato su queste rocce.
Malgrado la foga turistica abbia trasformato questo autentico baluardo militare contro l’Inghilterra in una specie di museo delle cere all’aria aperta, il fascino dei camminamenti lungo le mura, delle piccole stanze che si aprono in grandi stanze, e soprattutto lo charme del mare che incombe sulle rocce resta intatto.
Rituale e dal gusto forse eccessivo è la classica foto dei turisti accanto ai cannonieri ed ai moschettieri di gesso e legno che, in abiti appropriati, vegliano le loro armi accanto ai merli delle torri, guardiani immobili di una guerra inutile, visto che ora questo lembo di indipendenza irlandese appartiene proprio a quel Regno Unito contro le cui navi puntano i fucili questi tristi soldati di legno.
Durante la visita oltre il massiccio portone di legno, lo sguardo viene irresolubilmente attratto dal panorama antistante: sembra quasi di scorgere le coste scozzesi da queste latitudini, ed i ricordi vanno ad altre terre, ad altre pietre che sono sorelle e nemiche di queste, grigie ed austere.
E’ straordinario il modo in cui la musica riesca a cristallizzare l’immagine di un luogo cantato, quasi sradicandolo dalla realtà visiva, ponendolo in una dimensione simbolica, in cui il ricordo più forte viene quasi annientato dall’immagine sognata, sulle onde della musica: questo è in definitiva Carrickfergus.
Un invisibile filo rosso lega indissolubilmente l’esperienza del viaggio (ciascun tipo di viaggio: dalla semplice gita turistica al pellegrinaggio religioso) alla memoria musicale di chi lo compie: la musica rappresenta un formidabile collante onirico delle varie sensazioni della vita, per cui ogni esperienza più o meno importante nel corso della propria esistenza viene magicamente vivificata dal suono, improvvisa epifania uditiva, che ci colpisce come un pugno allo stomaco, al pari dei profumi (altro strumento eccellente della “memoire involontaire”, per dirla alla Proust..), sensazioni intangibili che costellano il nostro percorso terreno.
Ogni fuga dalla quotidianità, ogni movimento verso l’esterno, reale o fantastico che sia (Falsche Bewegung quindi compresa), viene accompagnato da sensazioni musicali, ogni luogo si collega ad una immaginaria geografia melodica, una carta geografica costellata da note musicali, luoghi in cui le immagini naturali si alternano a sensazioni musicali, come in una sorta di documentario naturalistico.
Il suono, o meglio la musica, in questione non necessariamente corrisponde all’armonia delle sette note, la colonna sonora può essere a volte suonata dalla stessa natura: il vento che fischia dall’alto di una scogliera irlandese, fin quasi ad assordire, lo sferragliare del treno sui binari che culla il viaggiatore in modo quasi ipnotico, il rollio delle onde mentre il traghetto scivola lentamente verso le magiche isole Aran, persino il silenzio crepuscolare che ci accoglie su una spiaggia scozzese bianca come l’innocenza infantile, può rappresentare una melodia assordante. Queste e molte altre sensazioni “pseudo liriche” fanno da invisibile contrappunto ritmico all’esperienza del viaggio.
Chiunque, in sostanza, abbia viaggiato attraverso la propria terra, o altrove, verso sponde più lontane, avrà sperimentato queste sensazioni, e troverà forse interessante il seguente breve resoconto di alcune esperienze legate al personale vagabondaggio lirico di un inguaribile Rambler romantico, attraverso l’isola britannica e quella irlandese.
Sulle orme di Ulisse (e quelle di Orfeo).
Londra: notte a Piccadilly Circus, la fontana con l’Eros illuminato, fonte di musica inattesa per la presenza di una cornamusa nei pressi dell’acqua, ecco quindi la prima presenza scozzese in piena Londra, il primo approccio con la voce delle sirene, prolungamento del nord nella capitale.
Questa litania ipnotica si mescola con il rock artificiale del Rock Circus, dove statue di cera ci girano attorno ( o forse siamo noi i loro satelliti artificiali ) e ci parlano, cantando dal passato.
E’ il nostro circo, per ragazzi non ancora adulti, facili alle nostalgie della musica che si riallaccia agli anni passati in fretta, con i Beatles e Rod Stewart, con i Rolling Stones ed Elton John.
Tutto attorno alla piazza negozi dozzinali di T-shirts e poster del mito, specchietti per allodole per i turisti onnivori venuti dall’oriente.
La notte diventa improvvisamente spazio della memoria, e allora ci si muove tra le melodie beatlesiane e tra gli spazi dl tempo, come in un romanzo di fantascienza.
Irlanda
Dublino: Baile Atha Cliath o Dublino, città doppia, celtica e moderna, un po' inglese e molto “Irish”.
Dublino come grande metafora delle paralisi dell’ intera nazione, città immobile eppure agitata, terra di falsi movimenti, scenario da film a lungo noto, eppure nuovo di zecca.
Terra di Pubs e di musica folk, quella colonna sonora che ha nutrito lo spirito onnivoro del buon turista, e che ora ci segue, ci indirizza lungo le strade, musica accidentale, incontrata in qualche famoso Pub di Temple Bar.
La musica è onnipresente, al di qua ed oltre la Liffey ( nomi sempre letti tra le pagine dei libri e che ora appaiono invece reali, oppure no? Forse sono ancora il riflesso cartaceo del fiume, la sua evocazione letteraria), “Heritage” con cui fare i conti in ogni luogo ed ogni luogo ne porta irrimediabilmente i segni, sonori ed onirici.
Pogues, Chieftains, Dubliners ed ancora più in là: Clannad, Van Morrison, Elvis Costello e chissà chi altro.
Musica dunque, invariabile costante del viaggio, a piedi ed in macchina, nei Pubs e per strada, ancestrale rivive a Dublino la voce delle sirene, ed Ulisse non può che seguirle, ascoltarle e spesso perdersi tra cornamuse e violini, non più Itaca, non ancora il mare ma il fiume, presenza femminile in una città donna.
Epifanie successive, ad ogni fortuito incontro con qualche vecchio musicista da bar, presente ed assente, come nel Sir Arthur Conan Doyle .
Carrickfergus: la silhouette del castello a picco sul mare si scorge da lontano, lungo la strada costeggiata da piccole case di pietra grigia, e l’autoradio non può fare a meno di rimbalzarci le note e la voce di Van Morrison che canta la magia di un amore nato su queste rocce.
Malgrado la foga turistica abbia trasformato questo autentico baluardo militare contro l’Inghilterra in una specie di museo delle cere all’aria aperta, il fascino dei camminamenti lungo le mura, delle piccole stanze che si aprono in grandi stanze, e soprattutto lo charme del mare che incombe sulle rocce resta intatto.
Rituale e dal gusto forse eccessivo è la classica foto dei turisti accanto ai cannonieri ed ai moschettieri di gesso e legno che, in abiti appropriati, vegliano le loro armi accanto ai merli delle torri, guardiani immobili di una guerra inutile, visto che ora questo lembo di indipendenza irlandese appartiene proprio a quel Regno Unito contro le cui navi puntano i fucili questi tristi soldati di legno.
Durante la visita oltre il massiccio portone di legno, lo sguardo viene irresolubilmente attratto dal panorama antistante: sembra quasi di scorgere le coste scozzesi da queste latitudini, ed i ricordi vanno ad altre terre, ad altre pietre che sono sorelle e nemiche di queste, grigie ed austere.
E’ straordinario il modo in cui la musica riesca a cristallizzare l’immagine di un luogo cantato, quasi sradicandolo dalla realtà visiva, ponendolo in una dimensione simbolica, in cui il ricordo più forte viene quasi annientato dall’immagine sognata, sulle onde della musica: questo è in definitiva Carrickfergus.
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